Debora Scalzo è una regista, sceneggiatrice, scrittrice e imprenditrice italiana, il cui percorso artistico si distingue per un profondo impegno sociale e culturale. Con una carriera che spazia dalla moda al cinema, Debora ha saputo trasformare la sua creatività in progetti che trattano tematiche di giustizia, legalità e memoria storica. Tra i riconoscimenti ricevuti, spicca l’Apoxiomeno Award, un premio internazionale che celebra coloro che si distinguono per il loro contributo alla cultura e alla giustizia. Questo premio le è stato conferito durante l’International Police Award Art Festival, un evento che ha visto premiati anche attori di fama internazionale come Helen Mirren e Colin Firth.
Il suo esordio alla regia con il docufilm Paolo Vive rappresenta una tappa cruciale nella sua carriera. Il film racconta la vita e l’eredità del magistrato Paolo Borsellino, simbolo della lotta contro la mafia, e unisce con grande maestria elementi documentaristici e filmici per narrare una storia e una messaggio che vanno anche oltre i confini siciliani. In Paolo Vive, Debora ha ricoperto un ruolo centrale, curando non solo la regia, ma anche la sceneggiatura e la colonna sonora, conferendo al film una forte impronta personale e intima. Paolo Vive è attualmente in concorso per il prestigioso David di Donatello, riconoscimento di grande rilievo nel panorama cinematografico italiano.
In occasione della première nei Paesi Bassi di Paolo Vive, prevista per il 16 aprile 2025 presso lo Slachtstraat FilmTheater di Utrecht, organizzata dall’Associazione Italiana ACLI Utrecht nelle persone di Chiara Massidda e del Presidente Roberto Paletta, Debora ci offre uno spunto per comprendere meglio il suo lavoro e il messaggio universale che desidera trasmettere.
INTERVISTA a cura di Marianna Giacomel.

L’esordio alla regia:
Paolo Vive segna il suo esordio alla regia, ma Lei ha avuto anche un ruolo centrale in molte altre fasi della produzione. Quali sono state le principali sfide artistiche che ha dovuto affrontare in questo progetto così complesso? In particolare, come ha vissuto il passaggio da scrittrice e sceneggiatrice a regista?

Paolo Vive rappresenta il mio esordio alla regia, ma in realtà è stato un percorso che ho voluto intraprendere personalmente, conoscendo profondamente la storia che volevo raccontare. Le principali sfide artistiche che ho affrontato sono state legate alla complessità emotiva e storica del tema. Raccontare la vita di Paolo Borsellino, la sua lotta contro la mafia e la sua morte tragica, comportava una grande responsabilità. Volevo essere fedele alla sua memoria, ma allo stesso tempo creare un’opera che fosse accessibile, emozionante e in grado di coinvolgere anche un pubblico più giovane, che forse non conosceva a fondo la sua storia. Il passaggio da scrittrice e sceneggiatrice a regista è stato senza dubbio intenso. Come scrittrice, ho sempre avuto un forte controllo sulle parole, sulla narrativa, ma con la regia ho dovuto tradurre tutto ciò in immagini, movimenti e suoni. Ho dovuto imparare a pensare visivamente, a considerare ogni dettaglio sul set, dalla posizione della macchina da presa alla luce, per rendere il messaggio il più potente possibile. Inoltre, la regia richiede una forte interazione con l’attore, guidarlo non solo sulla base della sceneggiatura, ma anche dare a lui lo spazio per interpretare e vivere il personaggio in modo autentico, cercando di ottenere il massimo e devo dire che Bruno Torrisi è stato immenso. Questa trasformazione da scrittrice a regista mi ha richiesto un’immersione totale nel progetto, dove ogni giorno c’era qualcosa di nuovo da imparare e un’ulteriore sfida da superare. Ma la passione per la storia che stavo raccontando mi ha dato la forza per affrontare ogni difficoltà, e la consapevolezza che stavo dando voce a una memoria collettiva così importante mi ha spinto a dare il meglio di me stessa.
Il titolo:
Il titolo Paolo Vive è un’affermazione potente e significativa. Vive, il verbo al presente: come rappresenta questo titolo non solo l’eredità di Paolo Borsellino, ma anche la sua visione della sua lotta e del suo sacrificio? La scelta di usare il solo nome, Paolo: come ha voluto raccontare Borsellino non solo come magistrato simbolo della lotta alla mafia, ma anche come uomo la cui storia continua a ispirare oggi?
Il titolo Paolo Vive è un’affermazione che va oltre la semplice evocazione di una figura storica, ma diventa un messaggio di continuità e di speranza. Il verbo al presente, vive, non è solo un omaggio alla memoria di Paolo Borsellino, ma rappresenta l’idea che la sua lotta, il suo coraggio e i suoi ideali siano ancora vivi oggi. La sua eredità non è qualcosa che appartiene solo al passato, ma è qualcosa che si rinnova ogni volta che qualcuno, come noi, decide di prendere la sua testimonianza e di proseguirla. La sua visione della giustizia, il suo impegno, il suo sacrificio sono ancora un faro che guida chi crede in un futuro migliore, in una società più giusta.
La scelta di utilizzare il solo nome, Paolo, è stata un modo per umanizzare la figura di Borsellino, per raccontarlo non solo come il magistrato che tutti conoscono, simbolo della lotta alla mafia, ma anche come uomo, padre, marito, e come persona che ha vissuto le sue emozioni, le sue contraddizioni, i suoi sogni. Volevo che il pubblico vedesse in lui non solo un eroe distante, ma una persona di carne e ossa, con una famiglia, dei sentimenti, delle paure. Paolo Vive vuole rendere omaggio alla sua umanità, perché è proprio questa sua dimensione umana che ha fatto sì che il suo sacrificio fosse così grande e così potente, e che la sua storia continui a ispirare oggi.
Collaborazione con la famiglia Borsellino:
La famiglia di Paolo Borsellino ha avuto un ruolo fondamentale nel progetto, fornendo materiale inedito e un supporto emotivo e storico. Può raccontarci com’è nata questa collaborazione e che impatto ha avuto sul risultato finale del docufilm? In che modo la partecipazione della famiglia ha arricchito il suo lavoro?
La collaborazione con la famiglia Borsellino è stata uno degli aspetti più significativi e toccanti di Paolo Vive. Fin dall’inizio, ho sentito che per raccontare la storia di Paolo in modo autentico e rispettoso, era essenziale coinvolgere direttamente la sua famiglia, che conosceva meglio di chiunque altro la persona che si celava dietro il magistrato. Quando ci siamo incontrati, ho subito percepito la profondità del loro legame con Paolo e la loro determinazione nel voler preservare la sua memoria, non solo come simbolo della lotta alla mafia, ma anche come uomo di famiglia, padre e marito.
La famiglia Borsellino ci ha fornito materiale inedito che ha avuto un valore inestimabile. Foto, lettere, ma soprattutto le loro testimonianze personali, che hanno arricchito il racconto con un’umanità che va oltre la figura pubblica. Questo materiale ha aggiunto una dimensione più intima al film, facendo sì che il pubblico potesse comprendere Paolo non solo nelle sue battaglie pubbliche, ma anche nella sua vita privata. Le parole di sua figlia Fiammetta, del fratello Salvatore e della nipote Roberta, hanno donato una prospettiva unica e hanno contribuito a dare al docufilm una profondità emotiva che altrimenti sarebbe stata difficile da raggiungere.
Il supporto emotivo e storico della famiglia ha avuto un impatto fondamentale sul risultato finale. Non solo mi hanno aiutato a comprendere meglio Paolo, ma hanno anche arricchito il mio approccio alla regia, facendomi riflettere su come onorare davvero la loro memoria senza cadere nella retorica. Ogni dettaglio che mi hanno condiviso, ogni ricordo, ha reso il film più vero, più sentito. Il loro contributo è stato essenziale non solo per la qualità storica del progetto, ma anche per la sua sincerità emotiva. La partecipazione della famiglia Borsellino ha arricchito Paolo Vive con una forza che solo chi ha vissuto quella storia sulla propria pelle può dare.

La forma espressiva del docufilm: tra documentario e narrazione: 

Paolo Vive unisce scene recitate e interviste dirette, mescolando elementi documentaristici e filmici. Bilanciare documentario e ricostruzione scenica in un unico progetto non è mai facile. Come ha affrontato le difficoltà nel mantenere un equilibrio tra il valore storico e l’impatto emotivo, soprattutto in un tema delicato come quello della mafia e della lotta per la giustizia?

Un aspetto fondamentale del mio approccio è stato quello di rispettare la memoria di Paolo Borsellino e, più in generale, delle vittime della mafia, senza scivolare nell’esibizione di contenuti troppo cruenti o sensazionalistici. Quando ho richiesto il materiale video relativo alla strage, alcune testate importanti mi hanno fatto una proposta che, sinceramente, ho ritenuto inaccettabile: per includere il video della strage, avrei dovuto tagliare alcune delle interviste più forti, quelle che raccontano con estrema sincerità ed emozione le esperienze e le testimonianze dirette.
Ho scelto di non inserire il video della strage, non per mancanza di rispetto verso le vittime o per paura di mostrare la verità, ma perché credo che la forza di Paolo Vive risieda nel fatto che le parole di chi ha vissuto quegli eventi siano al centro del racconto. Le interviste sono il cuore del docufilm. Sono voci che raccontano non solo il dramma di quella tragedia, ma anche la forza di chi, come i familiari di Paolo e degli agenti di scorta, hanno vissuto nel dolore ma non hanno mai smesso di lottare per la giustizia.
Non ho voluto sacrificare queste testimonianze per un impatto visivo che rischiava di distogliere l’attenzione da ciò che conta davvero: la verità, la memoria e la lotta per la giustizia. Perché, alla fine, è proprio attraverso le parole delle persone che sono state vicine a Paolo, che si racconta non solo la sua morte, ma la sua vita, la sua passione per la giustizia e la sua incredibile umanità. Il pubblico merita di conoscere la verità in tutta la sua profondità, senza manipolazioni o compromessi.
Riflessioni sulla responsabilità del cinema:
Qual è, secondo Lei, il ruolo del regista nel determinare come una storia viene raccontata per sensibilizzare il pubblico verso la legalità?
Il ruolo del regista è cruciale quando si tratta di determinare come una storia viene raccontata, soprattutto in contesti così delicati e significativi come quello della lotta alla mafia e della legalità. Un regista non è semplicemente un narratore, ma un mediatore tra la storia e il pubblico, tra il passato e il presente, tra la verità e l’emozione. La sua responsabilità va oltre la scelta dei dettagli visivi o narrativi: il regista ha il compito di dare forma e vita a una storia in modo che non solo intrattenga, ma che faccia riflettere, scuota le coscienze e stimoli una presa di posizione da parte dello spettatore.
Nel caso di Paolo Vive, ho sentito una forte responsabilità nel raccontare una storia che non è solo quella di un uomo, ma quella di una lotta che continua anche dopo la sua morte. Raccontare la vita di Paolo Borsellino e la sua eredità, ma anche il contesto in cui ha vissuto e operato, significa sensibilizzare il pubblico su temi di giustizia, legalità, coraggio e verità. Il regista deve scegliere come rappresentare le emozioni, le verità scomode e le situazioni dolorose, ma anche come far emergere la forza della speranza e della resistenza contro l’ingiustizia.
Nel fare questo, il regista non può permettersi di banalizzare o esagerare, ma deve restituire la realtà in modo autentico e onesto. La sensibilizzazione verso la legalità non avviene solo attraverso il racconto di eventi storici, ma anche attraverso il modo in cui questi eventi sono trattati emotivamente e narrativamente. Il regista ha il potere di influenzare il pubblico, di far riflettere, di suscitare empatia, di provocare una reazione che possa tradursi in un cambiamento di atteggiamento o di consapevolezza.
Inoltre, penso che la responsabilità del regista sia anche quella di evitare il rischio di ridurre una storia complessa e sfaccettata a un mero spettacolo. Deve essere in grado di costruire una narrazione che faccia capire che la legalità non è solo un valore astratto, ma una battaglia quotidiana, difficile e spesso solitaria, che riguarda tutti noi, indipendentemente dalla nostra posizione sociale o professionale.
In sintesi, il regista ha il potere di fare la differenza nella percezione e comprensione di temi fondamentali come la giustizia, e deve farlo con consapevolezza, rispetto e coraggio. La responsabilità di raccontare una storia con un impatto positivo e trasformativo è una delle missioni più alte e importanti del cinema.
Il ruolo di attori e collaboratori:
Bruno Torrisi interpreta Paolo Borsellino. Quali qualità cercava in un attore per interpretare una figura tanto carica di significato? Inoltre, come sceglie i suoi collaboratori, considerando la delicatezza del tema trattato?
Bruno Torrisi è stato la scelta perfetta per interpretare Paolo Borsellino, non solo per la sua straordinaria abilità di attore, ma anche per la profondità emotiva che riesce a infondere nei suoi ruoli. Cercavo un attore che potesse incarnare la forza e la fragilità di Borsellino, qualcuno capace di trasmettere non solo l’aspetto pubblico del magistrato, ma anche la sua umanità, la sua passione e il suo coraggio. Bruno ha una sensibilità unica che gli ha permesso di rendere giustizia a questo personaggio senza mai scadere nel pietismo o nella retorica.
Per quanto riguarda i collaboratori, la scelta è sempre guidata dalla professionalità, ma anche dalla comprensione e rispetto per il tema trattato. Lavorare su una storia come quella di Paolo Borsellino richiede persone che non solo abbiano talento, ma che siano sensibili alla memoria e ai valori che vogliamo trasmettere. Cerco persone che abbiano un forte senso etico e che sappiano contribuire con passione e dedizione a una causa che va oltre il semplice lavoro, ma che riguarda la verità e la giustizia.
Le emozioni durante le riprese:
Realizzare un docufilm come Paolo Vive deve essere stata una esperienza intensa dal punto di vista emotivo. Può raccontarci un episodio che l’ha particolarmente colpita o che Le ha fatto riflettere profondamente durante il processo creativo?
Mi ha colpito profondamente la scena che ho voluto dedicare ad Antonio Vullo, l’unico agente di scorta sopravvissuto alla strage di via D’Amelio. È un momento particolarmente intenso del docufilm, che porta con sé un peso emotivo enorme. Non voglio svelare troppo al pubblico olandese, ma posso assicurare che questa scena entra dentro in modo potente, non solo per l’intensità della messa in scena, ma soprattutto per le parole che Bruno, nei panni di Paolo, pronuncia. Sono parole che risuonano nell’anima, che restituiscono il senso del sacrificio e del dovere, ma anche il dolore di chi ha vissuto quegli eventi sulla propria pelle. È uno dei momenti in cui il cinema si fa memoria, e per me era fondamentale rendergli giustizia con rispetto e profondità.
Impegno personale e professionale:
Paolo Vive rappresenta il culmine di un impegno che dura da tutta la vita nei confronti della giustizia e della legalità, ispirato anche dalla figura di suo nonno Lorenzo, un poliziotto siciliano che ha protetto i magistrati anti-mafia durante gli anni più violenti. Come crede che questa connessione personale e familiare abbia influito sulla sua visione artistica e sulla sua determinazione nel raccontare storie come quella di Paolo Borsellino? Inoltre, come riesce a conciliare la sua passione per la lotta alla mafia con i rischi che questo tipo di impegno comporta?
L’impegno per la giustizia e la legalità è qualcosa che porto dentro da sempre, ed è radicato nella mia storia familiare. Mio nonno Lorenzo, poliziotto siciliano che ha protetto i magistrati anti-mafia durante gli anni più difficili (tra cui il giudice Cesare Terranova tra i primi a lottare contro la mafia), è stato un esempio di dedizione e coraggio. La sua figura mi ha trasmesso fin da bambina il valore della giustizia, della verità e della responsabilità, insegnando mi che la lotta contro l’illegalità è prima di tutto una scelta di vita. Questo legame personale ha sicuramente influenzato la mia visione artistica, spingendomi a raccontare storie che non solo informano, ma sensibilizzano e lasciano un messaggio profondo.
Conciliare questa passione con i rischi che può comportare è una sfida, ma credo che il cinema abbia il dovere di dare voce a chi spesso non ce l’ha. La paura non può fermare la voglia di raccontare la verità. Ogni progetto che realizzo nasce dalla volontà di onorare chi ha sacrificato la propria vita per un mondo più giusto, con la consapevolezza che l’arte può essere uno strumento potente per il cambiamento.
L’impegno verso la giustizia sociale e l’impatto internazionale:
Lei è fortemente impegnata nell’educazione alla legalità, come dimostra la distribuzione del docufilm nelle scuole italiane. Paolo Vive porta il suo messaggio anche oltre i confini italiani, con proiezioni internazionali come quella a Vancouver, presso l’Istituto Italiano di Cultura, e un incontro da special guest alla prestigiosa University of British Columbia, dove si confronta con gli studenti sul tema dell’Education for Legality. O come la proiezione ad aprile nel Paesi Bassi. Come pensa che il cinema e la cultura possano influenzare la percezione delle nuove generazioni riguardo alla mafia e alla legalità, in particolare in contesti internazionali con approcci diversi alla criminalità organizzata e alla giustizia? Quanto è importante per Lei portare questi temi in realtà globali, e quale impatto spera che il suo lavoro possa avere sul pubblico di queste diverse culture?
Credo profondamente che il cinema e la cultura siano strumenti potentissimi per educare le nuove generazioni alla legalità. La mafia non è solo un problema italiano, ma una minaccia globale che assume forme diverse in ogni Paese. Portare Paolo Vive oltre i confini nazionali, come a Vancouver o nei Paesi Bassi, significa non solo raccontare la storia di Paolo Borsellino, ma creare un ponte di consapevolezza tra culture diverse.
In contesti internazionali, il confronto con studenti e giovani menti è fondamentale: loro sono il futuro, e solo attraverso l’educazione possiamo sperare in un mondo più giusto. La legalità non è un concetto astratto, ma una responsabilità collettiva. Il mio obiettivo è che chiunque veda questo docufilm, indipendentemente dalla propria nazionalità, esca dalla sala con una domanda dentro: Io cosa posso fare per costruire un mondo migliore? Se anche solo una persona si sentirà ispirata a lottare per la giustizia, allora avrò raggiunto il mio scopo.
Carriera e creatività multidisciplinare:
La sua carriera si distingue per la versatilità con cui si esprime attraverso diversi ambiti creativi. Ogni suo progetto, che si tratti di un libro, un film, una sceneggiatura o una collezione di moda, sembra essere il risultato di un processo unico che unisce le sue diverse competenze. Ognuna di queste attività Le consente di raccontare storie e di esprimere la sua visione del mondo in modi distinti, ma tutti condividono un elemento comune: la sua passione per la creazione. Come affronta il processo creativo quando inizia un nuovo progetto? Qual è il percorso che segue per trasformare un’idea in una creazione che poi “donerà al mondo”? Come  la sua esperienza nei diversi ambiti la aiuta a evolvere in quanto artista e come persona? C’è un aspetto di sé che emerge maggiormente in uno di questi campi?
Ogni mio progetto nasce da un’esigenza interiore, da qualcosa che sento il bisogno di raccontare. Il processo creativo per me è istinto e disciplina, un’alchimia tra emozione e metodo. Quando inizio un nuovo lavoro, che sia un film, un libro o una collezione, parto sempre da una visione chiara: un’emozione, un messaggio, un’immagine potente che mi guida. Da lì costruisco, plasmo, perfeziono, con la consapevolezza che ogni creazione, una volta completata, non è più mia, ma appartiene al mondo. La mia esperienza multidisciplinare mi permette di evolvere continuamente, perché ogni ambito mi insegna qualcosa di nuovo. Il cinema mi ha dato la forza di raccontare con le immagini, la scrittura la profondità delle parole, la moda l’espressione attraverso i dettagli. Se c’è un aspetto che emerge di più? Sicuramente la mia anima ribelle, la mia voglia di scuotere le coscienze e lasciare un segno.
Impegno per i diritti delle donne:
Lei è una sostenitrice dei diritti delle donne e combatte attivamente contro la violenza di genere e le discriminazioni. In che modo il suo impegno in questi ambiti influenza il suo lavoro cinematografico e letterario? C’è qualche progetto specifico che ha realizzato o che sta progettando per sensibilizzare ulteriormente su questi temi?
L’impegno per i diritti delle donne è una parte fondamentale della mia vita e inevitabilmente si riflette nel mio lavoro. Raccontare storie di coraggio, di resilienza, di ingiustizia subita ma anche di riscatto è per me un dovere. Il cinema e la letteratura hanno il potere di dare voce a chi spesso non ne ha, di scuotere coscienze e di creare consapevolezza.
Uno dei miei progetti più importanti in questo ambito è “Oltre la Divisa”, un film che affronta tematiche delicate come la violenza sulle donne, il potere malato, l’abuso di potere e le discriminazioni, senza filtri, con la volontà di denunciare e dare speranza. Ma il mio impegno non si ferma al cinema: attraverso la mia scrittura e il mio ruolo pubblico, continuo a sensibilizzare e a sostenere concretamente chi combatte ogni giorno per i diritti e la giustizia. Perché cambiare la mentalità e la cultura è l’unico modo per costruire un futuro migliore.
Di recente, ho ricevuto una proposta molto importante da una regista donna che stimo profondamente. Per la prima volta, sono stata contattata non per scrivere o dirigere, ma per recitare accanto a un attore importantissimo. Mi ha detto: La mia protagonista ho sempre pensato fossi tu. Dovrei interpretare una donna vittima di violenza psicologica, un tema che mi sta così a cuore che, pur non avendo mai recitato, potrei accettare questa sfida. Perché quando un messaggio è così forte, vale la pena mettersi in gioco in modi che mai avrei immaginato.
Il presente con uno sguardo verso il futuro:
Guardando al futuro, cosa pensa che Paolo Vive abbia rappresentato nel suo percorso artistico e come questo progetto l’ha cambiata sia personalmente che professionalmente? Può parlarci dei suoi progetti futuri e di come questi riflettano la sua evoluzione come regista e narratrice? 
Paolo Vive è stato un viaggio intenso, che mi ha profondamente segnata sia come artista che come persona. È un progetto che ha rafforzato la mia convinzione che il cinema possa essere uno strumento potente di memoria e di cambiamento. Raccontare la storia di Paolo Borsellino non è stato solo un atto di giustizia, ma un impegno personale a dare voce a chi ha sacrificato tutto per la verità.
Sono orgogliosa di aver debuttato alla regia raccontando la storia di un uomo che mi rende profondamente fiera di essere siciliana. Paolo Borsellino è un simbolo che appartiene a tutti, ma per me, come siciliana, rappresenta un’eredità di coraggio e integrità che sento il dovere di onorare.
Guardando al futuro, continuerò a lavorare su progetti che abbiano un impatto sociale forte, come “Oltre la Divisa”, che girerò a fine anno tra Catania, Lugano (Svizzera) e San Paolo (Brasile).
“Oltre la Divisa” sarà un tributo all’Arma dei Carabinieri, un’istituzione che mi ha profondamente colpita e che ha saputo conquistarmi con la sua dedizione e il suo impegno quotidiano. Sono davvero onorata di poter raccontare la loro storia e il sacrificio di chi indossa quella divisa con onore. Inoltre, sono entusiasta di poter presto annunciare un’importante collaborazione che realizzerò accanto a loro, un progetto che mi emoziona moltissimo e che rappresenta un passo significativo nel mio percorso professionale.
Inoltre, posso preannunciare che nel 2026 sarò nuovamente sul set per un progetto a cui tengo molto: ho firmato per la regia di un film che racconterà la storia del G8 e della Caserma di Bolzaneto. Un film importante e scomodo, che gireremo tra Genova e la Toscana, per raccontare una pagina dolorosa della nostra storia recente che non deve essere dimenticata.
Il futuro per me significa continuare a raccontare storie che lasciano un segno, che emozionano e fanno riflettere. Non mi interessa fare film solo per il grande schermo, ma per arrivare alle persone, scuotere coscienze e, soprattutto, far sì che la memoria e la giustizia non siano mai dimenticate.

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