Le dichiarazioni e le iniziative intraprese in Italia hanno una notevole risonanza all’estero. Spesso sottovalutiamo le ripercussioni che la linea di condotta nazionale può avere sul profilo internazionale e quanto ciò possa ledere alcuni settori chiave per la nostra vetrina d’ esposizione.
Sul Bel paese, si sa, gli apprezzamenti da parte degli stranieri sono tanti. Grazie al patrimonio naturale ed artistico, veniamo spesso descritti con un pizzico di invidia che, diciamocelo, inorgoglisce.
Il buio cala quando gli argomenti non riguardano più Colosseo e Costiera Amalfitana, ma la rappresentanza istituzionale, il modo il cui l’Italia si presenta al panorama politico mondiale.
Capiamo bene che, da un punto di osservazione estero, partiti con tendenza sovranista, in un luogo che è stato promotore degli ideali di Europa unita, così come alte cariche di Stato che sponsorizzano i propri interessi con strategie di marketing di dubbia serietà, costituiscono elementi di scarsa fiducia.
Il tutto si aggrava quando si evidenziano riscontri pratici di tali problematiche.
Abbiamo avuto prova che qualcuno reputa l’Italia un Paese in cui non tutti sono i benvenuti, neanche per turismo. A sperimentarlo un albergatore di Lipari, meta molto ambita, che è stato contattato da una viaggiatrice olandese con tratti nordafricani, preoccupata dall’idea che il colore della sua pelle potesse ostacolare la permanenza presso la struttura siciliana.
«A causa delle recenti inclinazioni a destra dell’Italia, alcuni miei colleghi mi hanno detto che dovrei preoccuparmi del colore della mia pelle», esordisce l’ospite nel messaggio inviato al proprietario della guest house, il quale ha deciso di riportare l’accaduto per far luce su una tendenza che può realmente compromettere un settore vitale per molte delle nostre regioni.
Secondo l’imprenditore, infatti, idee xenofobe e di reminiscenza fascista, non fanno altro che danneggiare gli italiani, autoisolandoci nelle nostre frontiere, non quelle chiuse per “rispedirli a casa loro”, ma i limiti definiti dagli altri Paesi per dissociarsi dalla visione di comunità civile che, a quanto pare, trasmettiamo al di fuori dei nostri confini.
Eppure, il turismo è sinonimo di apertura, confronto, arricchimento; virtù care da sempre agli italiani e alle quali la maggior parte della popolazione si ispira. Gli episodi di solidarietà ed accoglienza sono innumerevoli, l’ empatia ed il nostro inconfondibile fattore umano sono, in realtà, degni di premio. Un Nobel magari, come quello a cui è stata nominata Riace, città dell’accoglienza, e pochi anni prima Lampedusa. Non vanno poi dimenticate le piccole realtà locali, che continuano a compiere passi significativi verso l’integrazione, senza essere, il più delle volte, adeguatamente gratificate.
E’ un peccato. L’immagine distorta che traspare è solitamente quella politica, non popolare. Molti potrebbero obiettare che siamo noi cittadini a scegliere da chi essere rappresentati, ma la realtà dei fatti sembra contrastare tale principio logico. Una grande parte d’Italia continua a slegare le fitte reti nazionaliste che qualcuno cerca di instaurare, attraverso azioni concrete e con la lotta alla disinformazione . Si cerca costantemente di liberarsi dell’etichetta di fanalino di coda, nonostante i nostri padroni di casa ci accompagnino verso l’emarginazione umana.
Venire in Italia è magnifico, per qualsiasi ragione. Siamo stati, e continuiamo ad essere, un popolo di grandi viaggiatori: chi per diletto, chi per scappare da una condizione ostile. Ci immedesimiamo in chi è costretto a cambiare drasticamente la propria vita, ci appaga condividere la nostra cultura e le nostre tradizioni con chiunque scelga di visitarci, qualsiasi sia il colore della sua pelle. E’ questo il biglietto da visita più nobile che possiamo offrire, ma per farlo occorre indignarsi ogniqualvolta accadano tristi episodi del genere.