Titolo: “Slurp”. Occhiello: “Lecchini, cortigiani e penne alla bava al servizio dei potenti che ci hanno rovinati”. Questa l’ultima tragicommedia sul giornalismo scritta da Marco Travaglio e recitata assieme a Giorgia Salari, per la regia di Valerio Binasco. Un’opera da riso amaro che toccherà Bruxelles il prossimo 23 marzo per raccontare alcune delle più grottesche – e ataviche – inclinazioni della stampa italofona.
Marco hai definito Slurp uno spettacolo pedagogico e hai deciso di portalo in Europa. Perché?
«In tanti, anche non Italiani, vogliono capire come mai l’Italia è ridotta com’è ridotta. Per chi non vive qui è difficile capire come mai da vent’anni abbiamo governi pessimi che però l’informazione trasforma in governi ottimi attraverso un uso smodato della lingua. Che non viene usata per denunciare, analizzare o criticare, ma per leccare i potenti. Per cui le cose, gli Italiani, vengono sempre a saperle a babbo morto, mentre invece bisognerebbe raccontarle prima. In questo senso lo spettacolo è comico, ma anche tragicamente realistico. E alla fine si impara a guardare la televisione e a leggere i giornali e i giornalisti che contano in maniera diversa.»
Parliamo di leccaculi europei. El Paìs racconta, in un editoriale, della “anti-first lady Agnese Landini”; Politico.eu traduce Giuliano Ferrara; The Guardian parla dei pantaloni con risvolto con cui Renzi ha aperto la Fashion Week; e Vrij Nederland, la scorsa estate, dedicava la prima di copertina a “Renzi il rottamatore”.
«La cortigianeria è un male sempre in agguato. E criticare, in paesi conformisti com’è l’Italia e come posso essere anche altri, significa mettersi in minoranza. Una posizione scomoda. Il sistema dell’informazione italiana, però, induce alla cortigianeria. Nelle democrazie occidentali non c’è paese come il nostro, dove la proprietà di giornali e televisioni è nelle mani direttamente di coloro che la stampa e le televisioni dovrebbero controllare. Ecco la differenza.»
Quindi l’erba del vicino è più verde?
«Ciò che all’estero è l’eccezione in Italia diventa la regola. Per esempio tempo fa Renzi ha incontrato la stampa estera. In mezzo a una serie di annunci è spuntato quello forse più tragicomico, che accomuna tutti i premier italiani da Giulio Cesare in avanti, del completamento della Salerno-Reggio Calabria. I giornalisti italiani avrebbero forse applaudito, qualche volta è pure successo, mentre quelli stranieri si sono messi a ridere.»
Sempre a proposito di Europa, ti faccio una domanda da giornalista precario. L’Ordine dei Giornalisti è un unicum europeo, che fino ad oggi non ci ha certo tutelato dal leccaculismo. Non sarebbe meglio un modello diverso?
«Sono perfettamente d’accordo, infatti da anni sostengo che l’Ordine dei Giornalisti andrebbe abolito. In linea teorica ha senso, dare il patentino a chi fa bene il mestiere, ma dal punto di vista pratico ha totalmente fallito. L’esistenza dell’Ordine è diventata un alibi per le peggiori canaglie, magari per chi organizza campagne basate sul falso per conto dei propri editori politici e imprenditoriali. A fronte di questo fallimento, tanto vale sbaraccare questa istituzione di derivazione fascista e liberalizzare completamente la professione.»
In apertura del tuo ultimo libro citi Pulitzer: “Una stampa cinica e mercenaria, prima o poi, creerà un pubblico ignobile”. Nell’Italia ai tempi del giornalismo online, è possibile evitare un esercito di cortigiani se un freelance su quattro lavora gratis?
«Certo il precariato sembra fatto apposta per aumentare il livello di ricattabilità e asservimento della stampa. Se le condizioni fossero diverse forse qualcuno farebbe il proprio lavoro in maniera più seria. Però della citazione di Pulitzer mi piace anche il riferimento al pubblico. C’è, in un certo senso, la tendenza di cercare un’informazione rassicurante e ottimistica perché l’informazione alla camomilla è un modo per dormire tranquilli, per tutelare il proprio fegato. Così alla lunga devi quasi discolparti tu perché racconti che le cose non vanno bene anziché il contrario. Diventi come un soggetto destabilizzante, un gufo…»
Con internet il giornalismo si sta in qualche modo democratizzando, ma c’è l’altra faccia della medaglia. Non pensi, ad esempio, che la cortigianeria nei confronti dei potenti rischi di trasformarsi in un leccaculismo, ad esempio, dell’utente? Io a volte immagino un futuro distopico nel quale i potenti se ne stanno seduti a guardare gattini e cagnolini nella colonna destra di Repubblica, mentre l’informazione rimane quella che è.
«Sono d’accordo. Tieni presente che l’uso acritico del web è dispersivo e la rete può diventare lo specchio di una serie di patologie. Come ricordava Eco in uno dei suoi ultimi interventi oggi la voce dello scemo del villaggio e quella del premio Nobel, nel web, condividono lo stesso piano. Quindi per assecondare fanatici, complottisti, grafomani e via dicendo, molto spesso, l’informazione fa altri tradimenti.»