Oggi parliamo di animazione insieme a Mapo alias Mauro Carraro: animatore e regista italiano che attualmente lavora per Nadasdy Film in Svizzera.
Mauro sarà a Utercht il 28 e 29 marzo 2022 per una master class al Kaboom Animation Festival.
Gli abbiamo fatto qualche domanda per capire meglio il suo percorso, i progetti futuri e la sua fonte d’ispirazione.
Da dove nasce la passione per le animazioni?
Il tutto è iniziato dalla mia formazione scolastica.
Ho frequentato l’istituto d’arte. Al tempo facevo più atelier, video fiction, workshop e spesso recitavo anche come attore in alcuni cortometraggi.
Poi con l’università ho iniziato a specializzarmi sulla registica e in contenuti più disegnati: soprattutto in banner flash con animazioni per internet.
Anche grazie al supporto dei professori- che hanno riconosciuto in me un talento- ho perseguito questa strada.
Che importanza ha per te il Torino Film Festival e il lavoro “90 degrees”?
Durante il Master a Torino ho partecipato al festival, al quale avevano partecipato vari cortometraggi di animazione, anche in 3D. Uno in particolare catturò la mia attenzione: “90 degrees”: un lavoro astratto, molto diverso da ciò era in circolazione in quegli anni. Parliamo del periodo in cui impazzava il film d’animazione Shrek.
Rimasi colpito e incuriosito dal fatto che si potessero già realizzare delle cose così avanguardistiche e molto diverse rispetto al commerciale in circolazione.
Quindi mi informai sulla scuola che frequentavano i ragazzi che lo avevano realizzato. Decidendo poi di iscrivermi all’università francese Supinfocom Arles.
Da dove prendi ispirazione per i tuoi corti?
Quasi tutti i miei corti sono vicende vissute in prima persona, come ad esempio “Hasta Santiagio”- che parla del mio pellegrinaggio a Santiago de Compostela- o altri che raccontano vicende familiari come quella di mio padre che è vissuto in Friuli. L’ultimo è un omaggio a un mio caro amico che vive in camion da circa 10 anni.
Racconto di storie che sono vere perché vissute in prima persona o da persone a me vicine.
Hai vissuto in diversi paesi quali Francia, Svizzera ed adesso anche Olanda. Qual è stata la loro influenza sulla tua creatività e come hanno stimolato il tuo processo creativo?
Sicuramente la Francia è stata interessante, un paese che mi ha molto professionalizzato, essendo città molto famosa per l’animazione, ottime scuole. Quando mi sono trasferito avevo un’idea già precisa, quella di trasporre in 3D i miei disegni.
Ancora oggi, i Festival possono essere inseriti nella top 3 tra i cortometraggi.
Invece, la Svizzera è stata “el dorado delle possibilità” ha rappresentato un’opportunità di crescita e sostegno economico per poter mettere in pratica i propri film, rispetto la Francia dove il mercato era già più saturo.
Quando le persone non italiane vedono i tuoi corti riescono a cogliere i dettagli riferiti alla tua nazione natale e rimanere ugualmente incuriositi ed entusiasti? Le animazioni, come i film, sono un linguaggio universale?
Il bello del cinema è che ognuno riesce ad immedesimarsi nel cartone o nel film e proiettare quello che conosce, tutti noi utilizziamo degli occhiali di lettura che fanno parte del nostro background.
Quanto tempo impeghi a pensare e realizzare un corto?
Dipende dal tipo di corto e dall’idea, ad esempio per questo ultimo corto sul mio amico Walter, la prima volta che ho manifestato l’idea di voler creare un film sulla sua vita è stato nel 2014 e solamente nel 2018 ho iniziato a disegnarlo. In questo specifico caso sono serviti tre anni: un anno di sviluppo e due di produzione.
Dal mio punto di vista più l’idea è valida, più serve tempo per realizzarla.
Chi sono gli artisti, colleghi che ti hanno ispirato?
Mi ispirano due tipo di persone: quelle che riescono a vivere dell’animazione, vedere come tutta la loro vita graviti attorno al loro lavoro e come riescano a trasformare i loro lavori in poesia, come ad esempio Ivan Maximv e quelle che ammirano da un punto di vista più artistico, come Davide Toffolo artista polivalente, che farà la voce di Walter nel mio ultimo film, ma anche Lorenzo Mattotti soprattutto le sua grafiche, colori texture ed ovviamente i suoi lavori.
La pandemia ha rappresentato un momento di crescita, viaggio introspettivo, opportunità. Come hai affrontato questo periodo?
Nel mio caso, durante la pandemia ero in piena produzione del film Baroudeur, quindi ho approfittato per lavorarci.
Ho investito sul materiale per poter creare uno studio in casa che mi ha permesso di realizzare il film in maniera molto autonoma, eccetto qualche mese che ho collaborato con uno stagista.
Come una maratona, passo dopo passo ho realizzato Baroudeur.
Hai qualche progetto per il futuro? Dei film in fase di produzione?
Oltre a Baraouder, che è già terminato e uscito alla premiere di tre settimane fa, ho un nuovo corto in cantiere. Sono in fase di pre-produzione e si chiama “Keko e Kiki”. Racconta una storia particolare di amicizia tra una cornacchia e un cane da ciccia, un bracco italiano: gli animali di compagnia dei miei nonni. Una storia adatta più per le famiglie poiché narra di come erano le coppie negli anni 70’.
Come definiresti il tuo stile artistico?
In un’intervista il mio stile è stato definito come 3D sensibile e da quel momento l’ho fatto mio e mi piace definirlo così.
Il mio tratto distintivo è riuscire a dare colore e sensibilità al 3D: considerato di norma molto freddo
Hai qualche consiglio per le persone che si vogliono cimentare in questo campo, ambiente che sono alle prima armi?
Bisogna tener in considerazione che è un mestiere di pazienza e dedizione, un mestiere non per tutti e non per chi è alla ricerca dell’immediatezza.
L’animazione sono mesi e mesi di lavoro, attese, tempo e servono molte resistenze e determinazione. Perché, alle volte, sei il solo a crederci ma bisogna farlo fino in fondo. Mai mollare alle prime difficoltà, perché si tratta di un percorso, pieno di ostacoli da superare.
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