Il prossimo 17 aprile si terrà il cosiddetto Referendum sulle Trivelle, consultazione popolare promossa da nove consigli regionali in merito all’estrazione di combustili fossili entro 12 miglia marine dalle coste italiane . Sul banco ci sono rinnovi per tutta la “durata della vita utile del giacimento” di concessioni in scadenza per aziende quali Shell, Northern Petroleum, Transunion Pet. ed Eni.
Diritto di voto lo hanno, anche, gli italiani ridenti all’estero. Chi è iscritto all’AIRE riceverà – o quanto meno dovrebbe ricevere – per posta l’intero plico elettorale. Chi risiede temporaneamente fuori Italia da almeno tre mesi, invece, per richiedere il diritto di voto è tenuto a scaricare questo apposito modulo e inviarne copia firmata al comune di residenza.
Entro oggi.
Sì perché nonostante il formulario per il voto estero al Referendum sulle Trivelle fosse già disponibile in rete, la stampa italofona – come pure le autorità competenti – non hanno certo dibattuto la questione più del necessario. Anzi non ne hanno proprio parlato. Forse perché il voto referendario all’estero – pur essendo un importante strumento di democrazia – non è argomento attraente quanto quello spesso abusato dei “cervelli in fuga”.
O forse perché il cuore della consultazione, le concessioni petrolifere e di gas naturale, è un tema storicamente scomodo. Non a caso il coordinamento No Triv ha da poco denunciato la decisione del Consiglio dei Ministri di fissare le votazioni ad aprile, invece che accorparle alle Regionali di giugno. Un modo, dicono, per “bruciare circa 360 milioni di euro di denaro pubblico”.