Autore Vincenzo Toscani
Ancora una volta il festival del cinema fantastico IMAGINE di Amsterdam ha presentato una rassegna cinematografica di tutto rispetto, in cui con nostro piacere spicca il nome di un italiano tra i vincitori. Infatti Paolo Genovese si è aggiudicato il Méliès d’argent per il miglior lungometraggio Europeo nel genere fantastico: la giuria formata da Olivia Lonsdale, Ype Driessen e Dandyano Zentveld ha premiato “The Place“, ispirato ad un racconto dello scrittore-attore newyorkese Christopher Andrew Kubasik e di cui era già stata prodotta una serie tv uscita nel 2011 in USA. In The Place al posto di Xander Berkeley c’è un bravissimo Valerio Mastrandrea e tanti altri bravissimi attori italiani che forse non sono riusciti ad oscurare completamente le performance degli loro colleghi della serie americana, ma sicuramente hanno convinto gli spettatori presenti. Mastrandrea interpreta un uomo che esaudisce desideri delle persone a cui chiede in cambio di eseguire un’azione ben precisa, che legge in un’agenda piena di iscrizioni misteriose.
Dopo il film, la sessione di domande e risposte con il regista ha visto Paolo Genovese, in un inglese incerto ma comunque ricco di aneddoti divertenti, ricordare al pubblico olandese che il film è stato girato in soli 12 giorni. E che ogni attore ha recitato solo per un giorno (tranne Mastrandrea, ovviamente, che è sempre presente in tutte le scene). Non si è sbilanciato, invece, nel rispondere alla domanda (piuttosto ovvia) del pubblico: “chi è l’uomo nel bar che esaudisce i desideri?”. Chiunque sia “l’uomo”, l’attore Mastrandrea mette d’accordo tutti, procedendo gradatamente da una imperturbabile recitazione da manuale nelle scene iniziali ad una personalissima rappresentazione di profonda umanità nelle scene finali.
Nella colonna sonora, il classico “A chi” scritta da Mogol, Jimmy Crane and Al Jacobs e cantata dall’intramontabile Fausto Leali, mentre il brano che fa da tema principale e dei titoli di coda è composto e suonato dagli Stag insieme a Marianne Mirage. Secondo la giuria, il motivo di questo premio risiede nel fatto che è un film “audace, ma anche molto intimo e di esecuzione personale, in cui si mostra come ogni atto umano ha delle conseguenze e c’è sempre qualcuno che paga il prezzo per i nostri desideri. In The Place l’assurdo diventa normale e l’impossibile è plausibile. E il merito di questo va al regista Paolo Genovese”. Rientrato in Italia, e quindi assente alla premiazione, Genovese ha inviato un video di ringraziamento che è stato proiettato durante la cerimonia di chiusura del Festival.
Gli altri due feature film che hanno vinto il festival sono:
Isle of Dogs (Wes Anderson – USA/Germany 2018) che vince il Silver Scream Award, che è praticamente il premio per il più votato dal pubblico in sala al festival. Secondo il pubblico intervistato, questo film vince e convince per l’utilizzo di un un umorismo piuttosto cinico e di numerosi riferimenti alla cultura pop, e che riesce a coinvolgere tutti come spesso succede con i film di Wes Anderson.
Tigers Are Not Afraid (Issa López – Mexico 2017) che vince il Black Tulip Award, il premio per il miglior film fantastico proveniente da tutto il mondo. Questo film fa parte della rassegna kick-ass women, che risuona piuttosto bene dopo un anno particolarmente importante per la rivalsa della componente femminile nel cinema, come tutti sappiamo. Issa López è una di queste donne e soprattutto proviene dal Messico, nazione che già in passato aveva già fatto molto parlare della condizione femminile, per esempio con i fatti di Ciudad Juárez. La giuria premia la Lopez perché “questo film, diretto in modo accurato e toccante, si occupa di un enorme problema sociale dal punto di vista delle vittime. Fantasia e immaginazione sono usate per trasmettere forza, anche se purtroppo questo non basta per risolvere il problema”.
Ci teniamo però a parlare anche di un paio di film che ci sono piaciuti particolarmente:
Mayehm
Mayhem (che significa più o meno “situazione di disordine violento senza controllo”), è una storia piuttosto splatter ma incredibilmente aderente alle dinamiche interne delle grandi aziende, dove troviamo il top management che gioca cinicamente con le vite degli impiegati facendosi scudo con un middle management che ovviamente ne approfitta per cercare di salire di grado. La differenza la fa un virus che scatena una specie di rivoluzione impazzita all’interno del palazzo quartier generale dell’azienda, da cui nessuno può uscire.
Molto accurata la tagline del film: Hostile. Work. Environment.
Una bellissima rappresentazione dei rapporti di lavoro negli sterili ambienti di alcune realtà lavorative, nemmeno troppo irrealistica, girata dal regista Joe Lynch (horror, action) in un uno stile che ricorda, con risultati comunque meno stupefacenti, quello di Tarantino.
Tutto sommato un film davvero godibile e divertente (a patto che non siate impressionabili dal sangue).
Da notare che gli attori principali li avevamo già visti; infatti Steven Yeun era in Okja, presentato a Cannes nel 2017 (ricordate il traduttore coreano che mente sulla traduzione?) e Samara Weaving in Tre manifesti a Ebbing, Missouri, presentato a Venezia nel settembre 2017.
Ghost Stories
Tratto da una pièce teatrale di Jeremy Dyson e Andy Nyman (che tra l’altro è anche un illusionista), Ghost Stories merita un discorso a parte: è un film che ha mille aspetti e sfaccettature. Ci si ritrova nell’horror classico diverse volte, e allo stesso tempo si rimane colpiti da come ancora una volta la scena che ti aspetti può far ancora sobbalzare e sorprendere. Effetti sonori impareggiabili, è quasi impossibile parlare di questo film senza inserire degli spoiler. Quindi preferiamo indicarlo come un concentrato di professionalità e creatività che fa l’occhiolino al miglior cinema horror del passato, senza mai annoiare e con un sorprendente colpo di scena finale. Da vedere, se non per la passione per il genere, almeno per l’ottima interpretazione dei 3 attori principali, tutti assolutamente superlativi.
Altri film che assolutamente vi consigliamo di vedere: How to talk to girls at parties, tratto da una novella di Neil Gaiman (quello di American Gods) e The Changeover, storia di stregoneria moderna molto coinvolgente.
Abbiamo anche assistito a una serie di corti di notevole qualità, che spaziavano da argomenti un po più “Fantasy” a quelli delle fantascienza classica fino al più moderno cyberpunk.
Tra i più interessanti citiamo Expire, un titolo francese che annovera nel cast una bellissima attrice (Juliette Bettencourt, sono sicuro che sentiremo parlare ancora di lei) e che racconta con immagini di incredibile realismo l’amore tra due giovani in un futuro in cui il mondo è invaso da smog e non è possibile uscire senza indossare una maschera-respiratore di ossigeno.
Nel filone fantastico spicca un corto chiamato “Caught” che ci ha ricordato i racconti di Ray Bradbury, con questa bella sirena di colore catturata da alcuni pescatori inglesi che riesce ad incantare anche un’altra donna, già legata sentimentalmente ad uno dei pescatori.
Ma il corto più interessante che abbiamo visto è sicuramente Dystopian: lovesong, di Stefano Moro, un regista italiano che ha Nel 1996 fa il suo esordio alla regia di spot pubblicitari, cui seguono video musicali, cortometraggi e documentari. Stefano in seguito frequenta a Los Angeles i corsi di Judith Weston sulla recitazione, e poi Nel 2007 frequenta la Rutger Hauer Film Factory a Rotterdam, dove insieme ad un team internazionale produce due cortometraggi: “Action” e “A short Message”, proiettati in anteprima mondiale al Film Festival di Rotterdam 2008. Stefano ha lavorato per clienti importanti quali: Apple, Artic Vodka, BMW, Canon, Citroen, Fiat, ecc.
Ha inoltre girato videoclip per le maggiori band italiane e internazionali, tra le quali: Bluvertigo, Negramaro, Nek, Anna Oxa, Paola e Chiara, Modena City Ramblers, Dirotta su Cuba, Fiorella Mannoia…
Il corto di Moro è di ottima qualità realizzativa, e inizia quasi come un videogame, diventando via via sempre più onirico e con poche spiegazioni, che poi vengono in qualche modo accennate nei titoli di coda. C’è quindi un giovane uomo che inizia il suo cammino cyberpunk all’interno di una tuta pressurizzata in un mondo che sembra essere distrutto, e comunicando con una specie di assistente virtuale che lo aiuta nei suoi spostamenti mirati a recuperare alcuni oggetti “preziosi”. Una grafica da videogame, come ho detto, ma anche esteso uso di effetti speciali e (immagino) green screen per lavorare in studio. Stile e tecnica insieme. Nei titoli di coda leggo che il film è stato realizzato principalmente a Milano, quindi si può dire che sia veramente un corto italiano. Sarebbe stato bello intervistare Stefano Moro, che purtroppo non era presente personalmente alla proiezione.
Ringraziamenti
Un ultimo commento per dire a film festival IMAGINE di Amsterdam ci sono meno produttori in abito scuro e meno attrici in abito da sera in giro se lo confrontiamo, per esempio, con Cannes o Venezia. Ma la sensazione è che ci siano molti più appassionati di cinema. Il festival appare quindi forse un poco più dimesso, ma sempre con un’ottima qualità dei film proposti, grazie anche alla direzione artistica di Chris Oosterom. Oltre a Chris, ringraziamo in particolare Stanislaw Liguzinski, uno degli esperti che hanno lavorato alla programmazione del festival, per la piacevole chiacchierata di approfondimento sul cinema presentato al letteralmente fantastico IMAGINE.