Zdravko Tolimir, il generale serbobosniaco e braccio destro del generale Ratko Mladić durante la guerra in Bosnia, è morto ieri nel carcere di Scheveningen, dove stava scontando l’ergastolo per genocidio. Aveva 67 anni.
La notizia della morte, avvenuta nella notte, è stata confermata dal Tribunale penale internazionale per i crimini di guerra nell’ex Jugoslavia, che nel 2012 ha condannato all’ergastolo l’ex capo dei servizi segreti militari dei serbi di Bosnia, accusato di genocidio e crimini di guerra, in particolare per il massacro di Srebrenica perpetrato da truppe serbo-bosniache tra il 10 e il 19 luglio 1995, nel corso della guerra in Bosnia.
Dopo la guerra, Tolimir fu anche consigliere di Biljana Plavic, presidente dei serbi di Bosnia, condannata dal Tribunale a 11 anni di carcere per crimini contro l’umanità nel 2003 e rilasciata dopo aver scontato due terzi della pena. Nel 2005 Tolimir si congedò dall’esercito e fu incriminato. Dopo due anni di latitanza fu arrestato e trasferito all’Aja.
Il massacro di oltre 8000 civili bosniaci a Srebrenica, dichiarata “zona protetta” dall’Onu, è il più grave avvenuto in Europa dalla fine della Seconda guerra mondiale. Sarebbe stato Mladić a dare l’ordine del massacro, per lo più di uomini e ragazzi bosniaci di religione musulmana, dopo la caduta di Srebrenica, conquistata dalle truppe serbe.
Ma i Paesi Bassi non hanno solo tenuto in carcere uno dei burattinai del massacro di Srebrenica. Sono infatti coinvolti molto più profondamente in una delle pagine più tristi e dimenticate del processo di unione del vecchio continente.
La Corte Internazionale di Giustizia de L’Aja, nel mese di luglio 2015, a vent’anni esatti dalla strage, ha stabilito che i Paesi Bassi sono civilmente responsabili per la morte di almeno 300 musulmani bosniaci, coinvolti nell’atroce barbarie che in sole 72 ore uccise più di 8000 persone, e dovranno risarcire i familiari delle vittime. La Corte accoglie così, almeno in parte, il ricorso presentato dalle “Madri di Srebrenica”, l’associazione dei familiari delle vittime.
Tutti i profughi che in quei giorni scappavano dalle truppe serbe, cercarono rifugio nella base olandese dell’ONU, stanziata a pochi chilometri da Srebrenic e preposta alla difesa degli innocenti. Gli olandesi, quando arrivarono le truppe di Mladić, spararono qualche colpo in aria, e quello fu tutto. Spaventati e probabilmente poco addestrati, non seppero proteggere i rifugiati e non opposero alcuna resistenza alla loro deportazione.
Appare comunque chiaro che il contingente olandese non avrebbe potuto evitare interamente la strage, ma il comportamento del Dutchbat (il battaglione olandese di Caschi blu) rimane sotto speciale giudizio nella ricostruzione della strage.