Cominciamo subito col dire che questo articolo sarà completamente Spoiler-Free, Tulipani è un’esperienza che merita di essere vissuta in modo spontaneo e genuino.
Saprà sorprendere, a più riprese.

Quindi non si parlerà della trama del film, e non ci sarà nemmeno una dettagliata analisi tecnica della realizzazione, sarà semplicemente un’impressione a caldo, dopo la visione di un film scritto e diretto da olandesi, ma ambientato in Puglia, che racconta l’Italia del sud, visto da noi italiani.

 

Come appena specificato, non si analizzerà nel dettaglio il comparto tecnico del film, nonostante, agli occhi di non-esperti quali siamo, la regia risulti lineare e scorrevole, la storia ed i dialoghi ben scritti e le prove attoriali sufficientemente convincenti.

Certo, nessuno degli attori è Di Caprio, ma il fatto che il 90% del film sia recitato ed interpretato in italiano, da italiani, ci ha permesso di apprezzarne le performance, per lo più discrete. Anche i due protagonisti olandesi si comportano bene, persino nei momenti di dialogo in lingua italiana (apparentemente non doppiati, ma recitati in italiano).
Una mozione d’onore va alla fotografia, che tinge lo schermo dei colori caldi tipici della nostra penisola.

Ma passiamo ora al vero punto di forza di Tulipani, ovvero la capacità di trattare temi importanti come la migrazione, la fatica e la dedizione per il lavoro, l’amicizia, la famiglia e persino la mafia, senza però prendersi mai realmente sul serio.

La storia è condita con tutti gli stereotipi del caso, presenti in egual misura sia per gli italiani che per gli olandesi. Ma si tratta di stereotipi “buoni”, innocenti, oltre che assolutamente fondati e reali. Non a caso gli italiani gridano in continuazione e l’unico cibo che si vede durante tutta la proiezione sono degli spaghetti, mentre invece la prima parola che il protagonista olandese capisce in italiano è “birra”.
Fair enough direbbe un inglese.

I toni del film vanno spesso sopra le righe, scene che sembrerebbero sfociare in un dramma ricadono poi in scelte ridicole, di cui il film si auto-deride continuamente.

Va però specificato, il dramma c’è. Anzi, la pellicola sembra quasi vendicarsi di sé stessa, giungendo al punto in cui tutto ciò che poco prima era ridicolizzato, ora si trasforma in un ostacolo che sancisce il confine tra le risate ed il pianto, tra la vita e la morte.

Quest’ultimo aspetto, quello che abbiamo definito come il punto forte di Tulipani, risulta essere paradossalmente anche il punto debole, ma solo agli occhi di noi italiani.
Tutto funziona perfettamente, fino a che non entrano in gioco le sopra citate attività malavitose di stampo mafioso.
La regia e la sceneggiatura olandese non sono riusciti, o non hanno voluto, trasmettere la realtà della mafia nel sud Italia.
Si è una minaccia, fa paura, ma non riesce minimamente a risultare spaventosa quanto dovrebbe essere.
Quanto, in realtà, è.

 

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