di Federico Dask

La mattina del giorno dopo. Quando l’ebrezza della vittoria non ha ancora abbandonato del tutto anima e corpo e ci si sveglia rendendosi conto di aver fatto qualcosa di grande. Una sensazione che chi tifa la nostra Nazionale ha spesso provato nel corso della vita, almeno tante volte quanto la cocente amarezza della disfatta inattesa, altro storico cavallo di battaglia degli Azzurri nelle competizioni internazionali. Stamattina ci siamo alzati e abbiamo letto sui giornali che l’Italia è di nuovo grande e che la Spagna campione in carica chiude la sua avventura europea (e probabilmente il suo leggendario ciclo di vittorie) con almeno qualche giorno d’anticipo rispetto a quanto previsto. Abbiamo visto e rivisto le immagini di DeGea che non trattiene la punizione di Eder e Chiellini battere i pugni al petto. Ci siamo sentiti stretti per l’ennesima volta attorno ad un gruppo senza capelli alla moda e nomi di grande richiamo. Una brigata operaia figlia di un prestigiatore (perché il trucco da qualche parte deve stare) come Antonio Conte, capace di vivere la partita da bordo campo con la stessa enfasi chi giocava e di lasciarsi andare ad una gioia tutta nostrana al momento del secondo gol di Graziano Pellè. Uno che, tra l’altro, in Olanda rimpiangono ancora e sicuramente una delle favole più belle di questo Europeo.

E subito, per le strade dello Stivale, è stata festa grande. Forse anche troppo, visto che si tratta solo di un primo passo in un cammino ancora lungo e tortuoso. Una celebrazione che, tra le altre cose, cozza pesantemente con gli scetticismi della vigilia dell’Europeo, quando i nostri ragazzi erano stati mandati figurativamente al massacro pressoché da soli, con la sola colpa di pagare i troppi infortuni, alcune esclusioni incomprensibili ed in generale il raggiungimento di un ulteriore picco nel periodo di magra che il nostro calcio sta attraversando da qualche anno a questa parte.

Ma noi siamo così, un popolo di santi, poeti, navigatori ed allenatori di ogni calcio. E quindi, dal momento in cui il turco Cakir ha posto le labbra sul fischietto decretando che sì, avevamo esorcizzato le furie rosse a ventidue anni dall’ultima volta, il carro dei vincitori si è ritrovato ad essere inevitabilmente gremito. Ma tutto sommato ci sta bene, siamo magnanimi e festeggiare in compagnia ci piace. E soprattutto, ora sarà importante fare scudo attorno a questi ragazzi e non perdere la concentrazione dilungandosi in inutili santificazioni e segnare col circolino rosso la data di sabato. A Bordeaux ci aspettano i tedeschi, forti di quella che probabilmente è la miglior condizione tecnico-atletica del torneo e volenterosi di sfatare anch’essi il tabù che non li ha mai visti trionfare contro di noi in competizioni ufficiali nelle ultime decadi.

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