Abbiamo intervistato la senatrice Laura Garavini (PD) che, oltre a dire la sua sull’attuale governo e sulla parità di genere, ci racconta del suo operato all’estero.
Laura Garavini è nata e cresciuta ad Avignola, in Emilia Romagna. Nel 1989 termina il suo percorso universitario presso l’Università di Bologna laureandosi con lode in scienze politiche. Nello stesso anno si trasferisce in Germania, dove vive attualmente, diventando un vero e proprio punto di riferimento della politica italiana all’estero. Nel marzo 2018 è stata eletta senatrice con 36.386 preferenze, il miglior risultato di tutti candidati di tutti i partiti.
«Esistono episodi di maschilismo in politica? Se sì lei ne è mai stata vittima?»
«Esiste una mentalità generale italiana per la quale ancora oggi è difficile conciliare la crescita personale con le ambizioni professionali – siano esse politiche o di altra natura. Questo gap culturale tutto italiano si vede anche nelle piccole cose, dagli orari di lavoro poco flessibili in caso di maternità al divario di genere negli stipendi. Un fenomeno deplorevole, che purtroppo coinvolge tutti i paesi europei. Proprio perché credo nella necessaria affermazione della parità tra i generi, ho presentato una serie di proposte di legge che vanno in questa direzione e si ispirano alle buone pratiche del Nord Europa. Come il riconoscimento del cognome materno, l’attribuzione di contributi figurativi per ogni figlio nato o adottato, l’obbligo di fasciatoi nei bagni pubblici. Penso che finché non avremo risolto queste questioni, legate alla vita comune di tutte le donne, non risolveremo nemmeno un’eventuale visione in parte ancora maschile della politica».
«In Olanda la rappresentanza di donne al parlamento europeo era talmente bassa tanto da fondare nel 2017 un’associazione dal nome “Stem op en Vrouw/ Vote for a Woman” che si proponeva di aumentare tale rappresentanza. Questa “battaglia” ha portato oggi ad avere 12 candidati su 26 di sesso femminile nel parlamento europeo. Esistono associazioni del genere anche in Germania o in Italia?»
«Esistono diverse realtà che si occupano della parità di genere. Personalmente, sono stata tra le fondatrici di ‘Rete donne e.V’. Una rete che riunisce professioniste ed esponenti del mondo civile al femminile, con l’obiettivo di promuovere collaborazione, dialogo e confronto con la società per riflettere sulle esigenze dell’universo femminile al di là degli stereotipi, in particolare quello legato alla mobilità transnazionale. In occasione delle ultime elezioni europee, infine, ho firmato e sostenuto la campagna ‘AltraEuropa. La forza delle donne per la leadership europea’ lanciato da ‘European Women Alliance’ con l’obiettivo di realizzare politiche europee di pari opportunità».
«Sul suo sito scrive “l’Europa delle frontiere aperte è una grande conquista”. Cosa ne pensa di un Ministro dell’interno che queste frontiere vorrebbe vederle chiuse?
«L’attuale inquilino del Viminale vive di slogan. Le frontiere chiuse sono questo: un messaggio semplice ma privo di contenuto. Non realizzabile. E, a mio avviso, neanche giusto. L’immigrazione deve essere gestita e controllata con accordi internazionali, come hanno fatto i nostri Governi Renzi e Gentiloni. È facile dire ai propri elettori che la colpa dei loro problemi quotidiani è dell’immigrazione. Molto più complicato è, invece, creare una politica di Governo per le questioni realmente urgenti come l’occupazione, il fatturato delle pmi, l’imprenditorialità. Tutti argomenti sui quali questa maggioranza si sta dimostrando ancora più inadatta di quanto non avessimo temuto. Con risultati tremendi da tutti i punti di vista. Capiamo che sia più comodo dare la colpa agli immigrati. Ma prima o poi Lega e 5stelle si troveranno davanti il conto di quegli italiani che hanno illuso e impoverito».
«Renzi ha definito “Salvini e Di Maio incapaci, bloccano il Paese”. Cosa ne pensa dell’attuale governo? Reggerà ancora per molto questa coalizione?
«Più che una definizione di Renzi, è un’istantanea della realtà. Il fatturato delle aziende crolla, così come i consumi, il Pil e l’occupazione. L’unica cosa che cresce è il debito pubblico. Siamo di nuovo in preda a una continua febbre da spread. Sembrava avessero toccato il fondo e che più giù di così non potessero arrivare. Ma adesso rischiamo anche una procedura d’infrazione Ue. Tutto questo in un solo anno di Governo. Non so se questa coalizione reggerà. Ma so di certo che se proseguiranno di questo passo per altri quattro anni a non reggere saranno le imprese e gli italiani».
«Dopo la vittoria alle elezioni europee Salvini si è fatto fotografare davanti ad una libreria dove appaiono oggetti quali diverse foto di Putin, un libro su Himmler sulla sua spedizione nazista in Tibet nel ’38 e un capellino con lo slogan di Donald Trump “make America great again”. Ritiene che sia un altro modo per far parlare di sé oppure il nostro ministro è un vero e proprio fan dei “bulli”?»
«Lui non è un fan dei bulli. Lui è un bullo. Ma sa fare la voce grossa solamente a distanza. Perché poi, quando si tratta di sedersi ai tavoli che contano per ottenere condizioni di vantaggio per l’Italia, diserta sempre. Basta vedere le riunioni dei ministri degli Interni europei, dove puntualmente non si presenta. Così come, quando era europarlamentare nella passata legislatura a Bruxelles, non si presentava mai alle discussioni sulla riforma del Trattato di Dublino. La forza, in politica, si misura dai risultati. E di risultati, da questo Governo, finora non ne abbiamo visti».
«Lei ha curato diversi progetti per l’integrazione di cittadini di origini straniera in Germania. Quali sono? Perché definisce gli italiani all’estero una “risorsa”?»
«Durante i miei studi universitari mi sono trasferita in Germania. Ho insegnato all’Università di Kiel ed ho lavorato anche con i figli dei nostri emigrati, insegnando cultura e lingua italiana. Dal 1996 ho lavorato a Colonia per un progetto per l‘integrazione del Governo tedesco, in qualità di responsabile per il settore italiano, per promuovere la formazione di giovani lavoratori italiani ed evitare così che perdessero il loro posto di lavoro e riuscissero a trovarne uno nuovo. Dal 2000 sono stata responsabile a Berlino di una struttura sindacale finalizzata ad aiutare le famiglie e gli anziani italiani. In quegli anni ho collaborato anche con le istituzioni locali per favorire l’occupazione di giovani italiani. Gli italiani all’estero sono una risorsa unica. Con la loro presenza promuovono la nostra cultura nel mondo, creando un circuito virtuoso per il turismo di ritorno e l’export dei nostri prodotti. Il fatto che mantengano il legame con il Paese natio, dove spesso hanno ancora la casa di origine, contrasta lo spopolamento dei Paesi. E poi i nostri talenti all’estero – tra medici, scienziati e ricercatori – fanno grande il nome dell’Italia e ci rendono ancora più orgogliosi del nostro Paese».
«Lei ha dato un grande contributo nel “Made in Italy” all’estero. Vuole raccontarci come?»
«Grazie a una mia iniziativa parlamentare nel corso della scorsa legislatura abbiamo dato più sostegno alle Camere di Commercio italiane all’estero, ossia le strutture che supportano la piccola e media imprenditoria interessata ad operare al di fuori dei confini nazionali. Abbiamo creato per loro maggiori possibilità di promozione per le nostre aziende, stanziando ingenti risorse per l’internazionalizzazione e programmandole per un triennio. Dopo gli anni di tagli delle destre, noi del PD abbiamo investito per favorire il Made in Italy all’estero. Ed i dati sul boom dell’export, in particolare dal 2016 in poi, ci hanno dato ragione. Spiace constatare che l’attuale Governo non dimostri la stessa sensibilità verso i capitoli di spesa legati agli italiani nel mondo. Che hanno accuratamente evitato di rifinanziare. Questo significa che, una volta esaurite le risorse stanziate fino al 2020 dal PD, probabilmente assisteremo ad un crollo dei capitoli di spesa a favore degli italiani all’estero».
«Con l’associazione “Mafia, Nein danke!” ha dato vita alla più grande ribellione al pizzo mai avvenuta fuori dai confini italiani. Da allora la presenza di clan mafiosi sul suolo tedesco è diminuita? Come adopera questa associazione oggi? Ne esistono altre simili in altre parti del mondo?»
«Ho personalmente fondato “Mafia, Nein danke!” nel 2007. Da allora l’associazione è cresciuta molto. Nel 2018 siamo stati ospiti del Bürgerfest, l’annuale celebrazione del Presidente della Repubblica tedesco a riconoscimento di chi si è distinto nell’impegno civile. A distanza di oltre dieci anni dalla fondazione, continuiamo a occuparci di contrasto alle mafie e di sensibilizzazione della cultura e dell’opinione comune. Oggi le mafie – quelle italiane, ma non solo – si sono internazionalizzate ancora di più. Per questo anche l’antimafia si deve internazionalizzare. Perché dal momento che le mafie sono sempre più globali, anche il loro contrasto deve esserlo. Ed ancora di più. L’ho ribadito con forza nel mio incarico di presidente del Comitato per la lotta alla criminalità su base europea e internazionale, durante la Presidenza italiana del Consiglio Europeo. E continuo a farlo, come componente della Commissione Antimafia».
«Grazie a lei sono entrate in vigore tre leggi europee contro le mafie, vuole dirci di più?»
«Nella scorsa legislatura sono entrate in vigore tre leggi di cui mi sono resa promotrice. In primo luogo la tutela dei dipendenti delle aziende sequestrate e confiscate alla criminalità organizzata, così che non siano i lavoratori a dover pagare le conseguenze delle scelte sbagliate dei loro titolari. A questa si aggiungono le leggi per il reciproco riconoscimento delle decisioni di confisca tra Stati e per l’istituzione di squadre investigative comuni sovranazionali. Forze dell’ordine e magistratura invocavano da decenni il recepimento di leggi europee che dessero una sferzata di internazionalità al contrasto alle mafie. Dopo anni di insistenza e di battaglie, con i nostri Governi queste mie iniziative sono state finalmente realizzate. Sono provvedimenti importanti, di cui vado particolarmente fiera».
«Quanto c’è di vero in serie TV come Gomorra e Suburra? Lei ritiene che sia il giusto modo di trattare un tema così delicato?»
«Come ha fatto recentemente notare anche Raffaele Cantone, che proprio durante il nostro Governo PD è stato incaricato di dirigere l’Autorità Nazionale Anti-corruzione, il rischio di emulazione esiste. Inoltre serie televisive di questo tipo rischiano di dare una connotazione romantica dei fenomeni criminali. Mentre invece potrebbero esercitare una importante funzione culturale. Infatti possiamo immaginare di contrastare i fenomeni criminali soltanto attraverso un profondo cambiamento del tessuto culturale di interi territori. Se riusciamo a creare lavoro, ad offrire opportunità ricreative e di impegno sociale, strappando le giovani generazioni alla malavita, i giovani potranno guardare qualsiasi telefilm senza rischiare di subirne la fascinazione».
Foto di copertina: © Laura Garavini